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Convegno, Roma 22 Novembre 2008

ASSOCIAZIONE FRANÇOISE DOLTO

 

L’INFANZIA NEL DISAGIO CONTEMPORANEO

La parola, l’ascolto, l’accoglienza nel pensiero di Fraçoise Dolto

Franca Brenna

Andremo alla Maison Verte? Essere genitori, oggi, tra informazione e formazione

 

Secondo la tesi di Françoise Dolto una comunicazione emotiva si instaura tra madre e bambino già durante la gestazione e a decorrere dal quindicesimo giorno di vita è possibile comunicare al neonato ciò che gli sta a cuore: il senso della sua vita. Non che egli comprenda la lingua concreta, storicamente determinata, ma intende il linguaggio dell’umanità, ciò che sta prima della Torre di Babele: più che il contenuto l’infante coglie le vibrazioni emotive che passano nelle parole che gli sono rivolte. A partire da questo enunciato mediato dall’ascolto psicanalitico che ha accompagnato F. Dolto per tutta la sua vita, mi si sono attualizzate delle riflessioni che riguardano soprattutto le informazioni e le immagini da cui siamo bersagliati quotidianamente: informazioni scientifiche, ipotesi e proposte pedagogiche e psicologiche…e chi più ne ha più ne metta! Senz’altro è anche il caso di dire, ben vengano! Ma, questo “eccesso mediatico” di informazioni, può indurre sempre più una carenza e insicurezza relazionale, perché satura immaginariamente la relazione con l’altro/Altro (relazione intra e inter-soggettiva). Certo, anche noi attraverso questo Convegno stiamo proponendo delle “informazioni”, ma F. Dolto sulla scia di Freud e di Lacan ci ha indicato che l’informazione, affinché non rimanga “pura notazione immaginaria” deve passare tra le maglie o malie del proprio desiderio. Mentre la “tecnica” proposta dalla nostra contemporaneità, si può anche intendere, come ci suggerisce Hans Gadamer, in una intervista rilasciata molti anni fa a Donatella Di Cesare: “(…) come una nuova forma di schiavitù. Tutta l’informatica è una catena intelligente di schiavi. Siamo schiavi dei media e dei nuovi media. Schiavi, però non come nell’antichità, ma in un modo ben più raffinato: siamo schiavi pensando di essere padroni. Tante informazioni, troppe informazioni non danno il tempo per pensare…”, e per desiderare. Con la conseguente impossibilità ad attualizzare dei ricordi fantasmatici, da trasformare in parole. Ma è solo attraverso la presenza e l’ascolto dell’altro/Altro che possiamo accedere al nostro desiderio, implicante la propria storia personale iscritta e scritta anche dal contesto sociale in cui nasciamo e cresciamo. Tutto ciò implica la trasmissione dalla “memoria comune” o tradizione di cui l’epoca in cui nasciamo è impregnata che, mediante il linguaggio che ci precede, risulta essere transindividuale. F. Dolto, a tale proposito, ci parla dei riti di passaggio. Riti che, a mio avviso, possono preservare uno “spazio psichico” dalla saturazione del sapere che ci propone la tecnica o un certo scientismo. Ad esempio, anche nello scritto I complessi famigliari, Lacan ci parla di riti quando indica che la famiglia primitiva misconosce i legami biologici di parentela (…) ma è riconosciuta solo tramite i riti che legittimano i legami di sangue – e all’occorrenza ne generano di fittizi… (1). E rito, etimologicamente, da un antico verbo indoeuropeo, può significare: scomparso. Quindi attraverso un determinato rito si può ri-attualizzare, simbolicamente, e non solo immaginariamente, ciò che è scomparso, ciò che manca, dunque ri-attualizza o attualizza il proprio desiderio.

 

Per proseguire in queste mie riflessioni, vi propongo un altro libro dal titolo Per una nascita senza violenza di Frédérick Leboyer – il parto dal punto di vista del bambino (2). Sintetizzando, Leboyer ci riporta, per certi aspetti, al discorso di Dolto; chiede ai medici e ai genitori lo sforzo di un approccio che recuperi il parto come momento di amore e non soltanto di efficientismo ospedaliero, come nella stragrande maggioranza dei casi, siamo abituati nella nostra contemporaneità.

Ma questi aspetti mi sono stati sollecitati attraverso il racconto scritto da una figura, un po’ dimenticata, ma quanto mai attuale, che rimanda anche ai “riti” di passaggio e del passato, dove prevaleva la dimensione “relazionale”: l’ostetrica.

Sappiamo che la donna, la neo- mamma e non solo, ha anche la necessità di un “accompagnamento relazionale”, che indico attraverso una frase di Sergio Contardi, ripresa dallo scritto Precisazioni sullo status di Nodi Freudiani, spunti, idee, riflessioni: “…Insomma a ciascuno il suo passo! Nel rispetto del passo dell’altro, ossia in una adeguata distanza simbolica (in/differenza)” (3).

A tale proposito riporto una domanda che mi è stata posta dall’ostetrica Marta Levata, di cui proporrò una sua testimonianza. Ma innanzitutto l’ostetrica si pone e ci pone questa domanda: quando nasce un bambino, lo lasciamo nascere, rispettando i suoi tempi, oppure lo facciamo nascere, a partire dalle esigenze esterne: tecniche, orari, ecc… ?!

 

             STORIA DI UN PARTO A DOMICILIO

Olga ed io ci siamo conosciute quando era alla 20°settimana di gravidanza: lei e suo marito vogliono far nascere il loro piccolo a casa. Olga vuole sentirsi libera di accogliere il suo bambino con i suoi tempi senza interferenze esterne, senza che ci sia qualcuno che le dica cosa deve fare o come deve fare per farlo nascere.

La data prevista è per i primi di maggio e tutto è pronto, a casa, per accogliere il nuovo nato.

Sono circa le 15.00 del 2 maggio quando Olga mi chiama per avvisarmi che sono iniziate le prime contrazioni. Dato che il travaglio procede bene, il battito del bimbo è regolare, lascio Olga e suo marito da soli in camera. L’atmosfera è tranquilla quasi magica.

E’ sera quando Olga inizia a sentire voglia di spingere, e a questo punto le chiediamo (le ostetriche a domicilio sono due) dove vuole partorire. Dice: in camera! Io e la mia collega iniziamo a preparare il necessario per il parto: teli, asciugamani, garze, catino per l’acqua calda, ma le cose più importanti sono la penombra ed il silenzio.

Come dice il Dott. Braibanti, il neonato non è solamente una macchina cuore-polmoni o un semplice tubo digerente, ma ha sensi che funzionano ed è capace di soffrire. Noi ostetriche siamo consapevoli di questo, ed anche Olga lo sa. Attuiamo, infatti, tutta una serie di semplici accorgimenti allo scopo di evitare al neonato inutili sofferenze.

Quando affiora la testina, nessuno la tocca tranne Olga, che lo accarezza, lo chiama. E così con l’arrivo dell’ultima contrazione, Giulio si affaccia alla vita. La prima cosa che fa è aprire gli occhi, cercando la sua mamma, che è lì vicino a lui (Olga ha partorito accovacciata). Stiamo attenti anche a fare silenzio per non “ stordirlo” con rumori che lui già sentiva nella pancia, ma attutiti e ovattati dal corpo materno.

Ora, aspettiamo in silenzio che siano pronti al secondo contatto, quello fisico.

Olga e suo marito accarezzano il piccolo con molta delicatezza. Il bebè è ancora attaccato al cordone ombelicale così che i primi atti respiratori possano avvenire in modo graduale e senza traumi (entro pochi minuti il neonato ha “imparato” a respirare senza paura); Olga lo porta a sé senza mai staccare lo sguardo dal suo cucciolo, Giulio non piange è tranquillo, si sente sicuro tra le braccia accoglienti della sua mamma, dove soprattutto trova calore. Quel calore che lo ha accompagnato per nove mesi e che non c’è ambiente, neanche una sala parto, che possa riprodurre.

Noi ostetriche restiamo in silenzio. Nulla deve interferire con la nuova famiglia, ci allontaniamo per qualche minuto per lasciare il tempo dell’accoglienza, nel rispetto di ciò che viene chiamato “periodo sensitivo”. Nasce la placenta, viene messa in una ciotolina accanto a Giulio, che è ancora attaccato al suo cordone: sono stati insieme per nove mesi perché avere fretta di separarli…!!!

Giulio si attacca al seno. A domicilio non c’è fretta di fare il bagnetto, è più importante il contatto pelle a pelle con la mamma, sentire il suo profumo, il suo odore (imprinting e bonding), le sue parole, che Giulio non scorderà mai.

Una madre è dotata di tutto ciò che fisiologicamente è di aiuto alla sopravvivenza del neonato.

 

A CIASCUNO il suo passo…nel rispetto del passo dell’altro

     Certamente non è mia intenzione indurre le future neo-mamme a partorire nella propria casa anziché in ospedale, ma… parafrasando ciò che ho proposto poco fa, a ciascuno il suo passo…!     L’ostetrica Marta Levada, attraverso il suo racconto propone sia una determinata competenza tecnica sia un’attenzione ai tempi dell’altro (nella nostra contemporaneità, non è così ovvia e scontata). Ed è proprio questa attenzione o psicanaliticamente ascolto dell’altro, che ci rimanda anche ai “riti” del passato o di passaggio (dove prevaleva la dimensione “relazionale), che mi ha portata a ripensare il concetto di castrazione simbologena che F. Dolto propone sin dall’inizio delle sue riflessioni cliniche e teoriche.

La tematica delle castrazioni simbologene s’inscrive in una concezione dinamica dell’essere umano. E si riferisce a delle tappe anteriori al complesso di Edipo. Dolto, pur rimanendo fedele al concetto di complesso di castrazione proposto da Freud, indicando attraverso il concetto di castrazioni simbologene le dinamiche che intervengono tra la pulsione, il desiderio e la legge, tenta di descrivere una intuizione molto conosciuta che consiste nel riconoscere che sin dalla nascita l’essere umano nel corso del suo sviluppo incontra dei limiti. La castrazione simbologena non si riferisce ad un fantasma ma piuttosto a delle situazioni che il bambino vive nella quotidianità che implicano un cambiamento nello psichismo e del rilancio o meno del desiderio. Dolto propone la castrazione simbologena ombelicale la castrazione simbologena orale la castrazione simbologena anale (4).

 

Per F. Dolto è la nascita che può essere considerata come la prima castrazione simbologena, mediante la castrazione ombelicale. Avviene il taglio del cordone ombelicale, separazione irreversibile del feto dalla placenta, perdita di una parte essenziale alla vita, fino a quel momento. La nascita è una morte relativa alla nascita ad un mondo che comporta una prima perdita (la placenta e non la madre), che costituisce un primo oggetto di lutto. D’ora in poi il bebè ha bisogno di un oggetto parziale che non sia più “ombelicale” ma sia la sublimazione della relazione ombelicale, la relazione ad un “nutrimento” che passi attraverso la “bocca”. La castrazione ombelicale è fondatrice di modalità emozionali, poiché un essere umano è sessuato. Ma, ritornando alla dimensione genitoriale, F. Dolto nota che la nascita del bebè, pur essendo una sorgente di vitalità simbolica del narcisismo dei genitori, comporta anche un aspetto inerente alla castrazione simbolica, perché devono rinunciare al bambino immaginario. Ogni nascita, rappresenta per ciascuna coppia di genitori, ma anche per la famiglia allargata, la rimessa in “gioco” dei posti relazionali, simbolici e immaginari, determinati dal desiderio dell’Altro/altro, umanizzante.

         Ma questo “gioco” dei posti relazionali nel simbolico e nell’immaginario, che include anche un tempo primario della relazione/socializzazione per ciascuno di noi, è da intendere come un tempo logico e non cronologico. Come sappiamo tale “posto” nelle relazioni famigliari risente sempre delle dinamiche inconsce e consce della famiglia iscritta nel sociale a cui si appartiene. Tutto ciò determina, seppure parzialmente, la riattualizzazione inconscia soggettiva del desiderio di ciascun genitore e delle famiglie d’origine. Ma, come ci indica F. Dolto, il desiderio di divenire genitori è determinato e determinante, sin da prima del concepimento del futuro bebè.

Possiamo quindi riflettere su questo aspetto, attraverso questa domanda: come un tempo logico soggettivo diviene determinante per l’essere umano, pur riconoscendo per il bebè anche un tempo primario della relazione/socializzazione?

               A tale proposito rimando al testo di Balbo e Bergés Jeu de place de la mere et de l’enfant, essaie sur le transitivisme (5), da cui riprendo soltanto questo brevissimo enunciato: “(…) delle tracce mnestiche inconsce sono lasciate in attesa di una iscrizione significante e simbolica ulteriore”.          

Ritengo, infatti, che la proposta di F. Dolto rispetto alla creazione della Maison Verte, vada proprio in questa direzione: dare la possibilità o l’opportunità al bambino, ai genitori e a chi l’accudisce o entra in relazione con lui di poter portare e/o ri-attualizzare le dinamiche relazionali, soprattutto inconsce (tracce mnestiche) che determinano e determineranno le castrazioni simboliche o simbologene (per Dolto), dando così la possibilità di accedere a nuove modalità relazionali, e al proprio desiderio. A tale proposito, ipotizzo La Maison Verte, come un particolare “rito di passaggio”, nell’accezione della possibilità che avvenga una nuova scrittura psichica, implicante anche ciò che la nostra contemporaneità può offrire, oggi!

 

 

                                         Carta d’identità della Maison Verte

                                              (da un’idea Françoise Dolto)

 

“Luogo d’incontro e di svago per tutti i bambini accompagnati dai loro genitori.

Per una vita sociale che cominci fin dalla nascita, per i genitori che spesso si trovano isolati di fronte alle difficoltà quotidiane che devono affrontare con i loro bambini.

Non è un Nido, non è un giardino d’infanzia, né un centro di cura, ma una casa dove Madri e Padri, Nonni, Balie, Accompagnatrici vengono accolti e dove i loro bambini possono incontrare degli amici.

Anche le donne incinte e i loro compagni sono i benvenuti”.

(da Le parole dei bambini, Ed. A. Mondadori, Milano,1991)

 

 

 

 

Bibliografia:

 

  • Jacques Lacan, I complessi famigliari, nella formazione dell’individuo, Einaudi Ed., 2005, pag. 6.
  • Frédérick Leboyer, Per una nascita senza violenza, Bompiani Ed., 2000.
  • Sergio Contardi, Precisazioni sullo status di Nodi) Freudiani, SPAZIO APERTO,

(annuario di psicanalisi – 2003 – 2004), Come lavorare insieme in psicanalisi, Nodi

Freudiani Associazione Psicanalitica – (stampato in proprio).

  • Michel H. Ledoux, Dictionnaire raisonné de l’ouvre de F. Dolto, Ed. Payot & Rivages, 2006.

5) Gabriel Balbo e Jean Bergès, Jeu des places de la mère et de l’enfant (essai sur le

transitivisme), Ed. Erès, 1998

6)   Lorenzo Braibanti, Parto e nascita senza violenza, Red Ed. 1993.